Un immobile abusivo è commerciabile?
Nel campo delle compravendite immobiliari la presenza di difformità, urbanistiche e/o catastali, sull’immobile pone spesso dei grossi limiti alla sua commerciabilità. Si definisce difformità urbanistica la non corrispondenza tra stato di fatto e contenuto dell’ultima pratica assentita; si parla, invece, di difformità catastale quando non vi è allineamento, ossia piena conformità tra lo stato di fatto del bene e i dati e le planimetrie catastali depositati.
Un contratto di compravendita che ha per oggetto un immobile con abusi non condonati può essere concluso?
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile caratterizzato da difformità sostanziali tra il titolo abilitativo citato nell’atto e lo stato di fatto, l’acquirente potrebbe vedersi annullare il contratto preliminare, con conseguente perdita della proprietà dell’immobile ed onere di provvedere al recupero di quanto pagato.
Questo è stato il caso in cui si è trovato un acquirente che ha scoperto che sull’immobile oggetto del preliminare erano state realizzate modifiche successive alla data di rilascio della licenza e non legittimate, che lo rendevano difforme dal progetto originario. Rivolgendosi al Tribunale prima e in Corte d’Appello successivamente, chiedeva:
1) di ottenere comunque l’esecuzione dell’obbligo di concludere il contratto ex art. 2932 c.c pur a fronte delle difformità rilevate;
2) la condanna del venditore al pagamento delle spese necessarie al conseguimento della sanatoria edilizia, in quanto la perizia tecnica aveva constatato la sanabilità delle difformità, trattandosi di modifiche interne all’immobile;
Ma, sia in primo grado che in appello, entrambe le richieste sono state rigettate dai giudici che hanno ritenuto l’immobile incommerciabile per via delle difformità.
L’acquirente ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione la quale, con l’ordinanza n. 22168/2019, ha ribaltato completamente la situazione, facendo chiarezza sulla possibilità di concludere un contratto avente a oggetto un immobile affetto da difformità – sanabili ma non condonate – rispetto al progetto edilizio.
Quali sono le ragioni che hanno motivato la decisione della Corte di Cassazione?
Affinché una compravendita immobiliare possa concludersi – hanno spiegato i giudici -, la normativa richiede la “dichiarazione” della parte venditrice indicativa degli “estremi” del permesso di costruire o del permesso in sanatoria o della segnalazione certificata di inizio di attività o, ancora, ma solo per le opere iniziate anteriormente al 1.9.1967, la “dichiarazione sostitutiva di atto notorio” attestante che l’opera è iniziata anteriormente alla data predetta. (ex art. 46 del DPR 380/2001 e art. 40 della legge n. 47/1985).
Secondo la Corte, è la mancanza dei “requisiti dichiarativi” che comporta la nullità del contratto e non la “mancata conformità dell’immobile allo strumento urbanistico“. Questo – aggiungono i giudici – è avvalorato dal fatto che il legislatore non ha inserito tale prescrizione tra gli elementi essenziali e perfezionativi del contratto di trasferimento della proprietà.
Ciò che dunque viene richiesto dalla norma non è la corrispondenza tra la situazione dell’immobile e la conformità urbanistica che risulta dal titolo, quanto piuttosto la corrispondenza della “dichiarazione” della parte alienante (resa contestualmente alla stipula dell’atto o “recuperata” successivamente mediante il procedimento di conferma), rispettivamente, ad un titolo edilizio realmente rilasciato dalla autorità competente e recante gli “estremi” indicati o all’elemento cronologico della data di inizio delle opere.
Tale dichiarazione, si evince dall’ordinanza, assolve anche alla funzione di dare all’acquirente la possibilità di esperire le opportune indagini per verificare la regolarità urbanistica e catastale del bene che sta acquistando, “così da determinarsi consapevolmente, nel caso di accertata difformità edilizia, in ordine alla scelta di stipulare egualmente o meno e di apprezzare l’effettivo valore commerciale da attribuire al bene in relazione alla sua diversa qualità giuridica”.
Pertanto, le Sezioni Unite sono pervenute alla conclusione che, in presenza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile, il contratto sarà in conclusione valido, a prescindere dalla conformità o difformità della costruzione al titolo in esso menzionato, non costituendo esse una causa di “incommerciabilità” dell’oggetto.
Il rovescio della medaglia
Se è vero che l’acquirente scampa il rischio di perdere la proprietà dell’immobile, rimane il fatto che gli abusi edilizi permangono e lo mettono nella condizione di essere il “nuovo” responsabile degli stessi e, di conseguenza, lo obbligano a sanarli.
Infatti, l’accoglimento del primo motivo del ricorso da parte della Corte determina un “assorbimento” del secondo motivo da lui presentato concernente la richiesta di copertura delle spese per la sanatoria. Queste ultime saranno, quindi, suo carico.
Sicuramente questo è un monito per tutti i futuri acquirenti ad accertarsi in ogni caso della conformità urbanistica e catastale dell’immobile a cui sono interessati poiché l’iter di sanatoria, oltre ad essere oneroso, non è sempre così rapido e scontato.