Domanda di accatastamento e rendita rettificata.
Sono un geometra e a gennaio 2015 ho accatastato l’immobile di un mio cliente procedendo alla presentazione della pratica tramite il software DOCFA.
A fine marzo 2016, il mio cliente riceve un provvedimento con cui l’Agenzia del Territorio provvede alla rettifica della rendita proposta.
Sono a chiedere se in tal caso è possibile impugnare l’atto eccependo il decorso del termine di 12 mesi entro i quali il catasto doveva rettificare la rendita. Cioè, a parere mio l’Agenzia ha violato la regola del silenzio-assenso?
Risposta – Ai sensi dei commi 2 e 3 del suddetto art. 1 D.M. 701/94 le dichiarazioni, di cui al comma 1 dello stesso articolo (domanda di accatastamento), ad eccezione di quelle finalizzate a procedimenti amministrativi iniziati d’ufficio, “sono sottoscritte da uno dei soggetti che ha la titolarità di diritti reali sui beni denunciati e dal tecnico redattore degli atti grafici di cui sia prevista l’allegazione e contengono dati e notizie tali da consentire l’iscrizione in catasto con attribuzione di rendita catastale, senza visita di sopralluogo. Il dichiarante propone anche l’attribuzione della categoria, classe e relativa rendita catastale, per le unità a destinazione ordinaria, o l’attribuzione della categoria e della rendita, per le unità a destinazione speciale o particolare”.
“Tale rendita rimane negli atti catastali come «rendita proposta» fino a quando l’ufficio non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni di cui al comma 1, alla determinazione della rendita catastale definitiva. È facoltà dell’Amministrazione Finanziaria di verificare, ai sensi dell’art. 4, comma 21, del Decreto-Legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 febbraio 1985, n. 17, le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni di cui al comma 1 ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto …”
Dunque, la rendita inserita nella domanda di accatastamento dal tecnico rappresenta una “rendita proposta” e il catasto ha 12 mesi di tempo per provvedere all’eventuale rettifica a seguito della propria attività di accertamento. Decorsi i 12 mesi senza che il catasto abbia accertato una rendita diversa, quella che è stata proposta diventa “definitiva” (vale la regola del silenzio-assenso).
Tuttavia, il catasto ha sempre e comunque potere di accertamento anche dopo che siano decorsi i 12 mesi ma riguardo ad esempio ad eventuali modifiche che l’immobile o la zona in cui lo stesso è ubicato avrebbero potuto subire e che determinerebbero una variazione di rendita.
In merito all’accatastamento, invece, come detto il catasto deve agire nel termine di 12 mesi.
Tale termine, è tuttavia da considerarsi non di tipo “perentorio” bensì di tipo “ordinatorio”, per cui lo stesso catasto è legittimato ad emettere un provvedimento di rettifica della rendita proposta anche dopo che sono decorsi i 12 mesi dalla domanda di accatastamento. Tuttavia, la rettifica deve avvenire con un provvedimento in autotutela che sia opportunamente motivato. Ciò è quanto si evince dalla Circolare n. 7 del 2005 emanata dalla stessa Agenzia del Territorio e nella quale a sostegno del proprio orientamento la stessa Amministrazione richiama una serie di sentenze giurisprudenziali tra cui ad esempio la Sentenza n. 38/43/04 della CTR Lombardia secondo cui “la tesi della perentorietà del termine annuale per la rettifica dei classamenti, proposti dai contribuenti con le denunzie di variazione, è duplicemente insostenibile. In primo luogo perché per il principio generale enunciato nell’art. 152 comma 2, c.p.c., e più volte affermato in giurisprudenza, il carattere perentorio di un termine non può presumersi, ma deve risultare espressamente dalla norma, mentre nel caso di specie il Decreto Ministeriale n. 701 non contiene verbo al riguardo. In secondo luogo perché comunque una fonte di origine amministrativa, dunque secondaria, non potrebbe sorreggere, da sola, la comminatoria di decadenza, di fatto costituente grave limitazione al potere accertativo conferito all’ente pubblico da fonti legislative primarie. Una solidificazione non più rimediabile della proposta di classamento per decorso del termine in danno dell’ente sarebbe del resto assurda, tenuto conto che l’attribuzione della categoria e quella della rendita sono destinate ad esplicare effetti tributari non circoscritti ad un singolo esercizio …” (altre sentenze richiamate ed aventi lo stesso orientamento sono ad esempio la Sentenza n. 61/08/02 della CTP di Como, la Sentenza n. 131/11/02 della CTP di Brescia, la Sentenza n. 544/23/01 della CTO di Roma).
Dunque, nel caso in esame l’atto ricevuto dal cliente potrebbe essere certamente impugnato ma non eccependo la violazione della regola del silenzio-assenso bensì eccependo ad esempio l’eventuale insufficienza di motivazioni che stanno alla base della rettifica.